Il Gorakh Bani è un poema sapienziale di epoca medievale attribuito a Gorakhnath, che enuncia in forma poetica le tesi più esoteriche e profonde dello yoga delle origini.
E’ un testo dei più misteriosi e affascinanti della tradizione tantrica. E’ il Sabad, la parola spontanea dell’illuminato, lontana dai canoni scolastici del vedanta e dello yoga, invece enigmatica e fitta di allegorie ermetiche e di riferimenti alla vita del monaco errante, dello Yogi e del Siddha, e all’esoterismo medievale. Perciò è un testo complesso, anti-intuitivo, a volte ironico, poi beatifico e estatico, a tratti oscuro e critico, comunque veloce, ritmato e vivace.
A differenza del sapere religioso, ben noto e reiterato dalla tradizione tra i confini del “villaggio”, il sapere erratico che Gorakh incarna non può essere indicato tra le definizioni che sono postulate dai dotti, dalle usanze e dai sacerdoti. Egli è un sapere incarnato e vivente, sempre nuovo, imperituro e rinnovato dall’esperienza che nel tempo è maturata nella coscienza degli yogi che hanno intrapreso lo stesso cammino, che si illuminerà con l’immagine già misteriosamente addotta da Eraclito. “Un fanciullo che parla dall’alto dei cieli”.
L’immagine del Fanciullo divino è universale, sempre ricorrente là dove si voglia indicare il Mistero divino incarnato. Questo Fanciullo non ha nascita, non ha nome, è un presente eterno, inviolato. Il Sabad, la parola dello Yogi che lo incarna, è la sua stessa voce, senza nome. Sabad è dunque la voce stessa della Verità, dell’esperienza del Supremo.