Puja è esprimere nel proprio presente qualcosa che risuoni di bellezza e di significato. È decidere che il proprio tempo sia segnato e costellato di esperienze significative e potenti, cariche di energia.
Mentre la vita ordinaria scorre semiaddormentata nella legge del Karma, ottusa, l'esubero di dono che la puja rappresenta è l'esubero della Grazia, che è consapevolezza.
Si offre agli dèi quel sovrannumero che l'avidità del mondo non lascerebbe. Quell'esubero che è il fiore, il germoglio, il frutto perfetto, la primizia, il profumo, che già sono, non visti, su questa terra, e che noi stessi siamo. Quel sovrabbondare della Grazia che cogliamo in natura, che cogliamo in noi stessi nel profondo della meditazione e, sottratto con la nostra attenzione dal decadere reificato, cosa tra le cose, invece eleviamo all'attenzione del divino, come offerta, come unificazione.
Allora ci viene restituito in Grazia, perché proviene dalla Grazia, prasad, benedizione, frutto, biscotto.
Quel dono nutre ma non si consuma. Si nutre con la pratica, la consapevolezza, la devozione, perché si accresca quel sovrannumero, quella differenza di stato, quella potenza elevante, quel nutrimento sottile di luce, ci nutra nei giorni che ci restano, ci attenda intero e compiuto, come pienezza, quando trascenderemo ogni separazione.