Con la meditazione esercitiamo una facoltà umana essenziale nella nostra natura, il pensiero astratto, la capacità cioè di astrarre dall’esperienza generale un livello sottile, metafisico, che informa tutta l’attività sensoriale e mentale. Sebbene il pensiero astratto sia diventato un concetto che richiama noia e pensieri superflui, la sua posizione originaria è stata quella di comprendere le leggi universali, assolute e immodificabili che sono alla base dell’esperienza empirica vivente. Prima del pensiero scientifico, all’origine si praticava questo metodo di osservazione della natura che prevedeva l’introspezione e la conoscenza del profondo e del sottile. La meditazione guida a comprendere la natura al di là delle condizioni transitorie e mortali che sembrano governarla, a conoscere con l’esperienza diretta i processi immutabili e assoluti, su cui accadono i fenomeni percepiti. Perciò lo Yoga, molto prima di descrivere esercizi posturali e disciplinari, è stato lo strumento per indagare la Natura più elevata o la Realtà metafisica dell’esistente, partendo dalla realtà immediata e sensibile del corpo, nella sua dimensione totale, fisica, psichica e trascendente. Trovando in sé stessi questo fondamento immortale, la realizzazione di Sé emerge spontaneamente, situando l’esperienza di sé al di là dell’angoscia della morte e dei limiti individuali, libera dai condizionamenti della paura e della scarsità, nella dimensione trascendente e immutabile. Con la Meditazione si riconoscono e si realizzano quegli stati di coscienza indipendenti e assoluti (come le leggi della geometria e della fisica) di cui la propria natura è costituita e su cui si rigenera costantemente.
Realizzare questa vera natura è lo scopo della meditazione. Così, come è detto nelle Scritture, la meditazione raggiunge il suo scopo quando il Conoscitore, la Conoscenza e l’Oggetto conosciuto diventano una sola cosa, quando perciò la realtà della natura del Sé è rivelata e realizzata con la costante pratica e l’esperienza diretta.
L’esperienza trascendete della Meditazione è perciò non duale e universale, non appartiene a un gruppo, una specie, una setta o una religione, ma ritrova la natura essenziale di ogni essere vivente, la coscienza profonda che anima ogni creatura senziente, o anima universale, che pensa ogni cosa vista, conosciuta o pensata, in ogni creatura che respira e pensa “io sono”. Perciò la Meditazione fa incontrare il Divino nel vivente, nel presente, nel qui-e-ora, sciogliendo ogni separazione fittizia e ogni costrutto mentale dualistico, ricostruendo la percezione di una Anima universale che vede, sente e pensa in tutti e in ciascuno, incarnata in tutti gli esseri e sempre trascendente ad essi.
“Colui che vede il Sé in tutti gli esseri, e tutti gli esseri nel Sé, conosce la Verità” (Isha Upanishad)
Il respiro, l’Anima universale
“Con il suono ‘HA’ il jiva (sotto forma di Prana) entra, con il suono di ‘SA’ (nella forma di Apana) esce. Ogni essere vivente ripete continuamente il mantra “Hamsa, Hamsa” (io-sono, io-sono). Il Jiva recita continuamente questo mantra, ventunomila seicento volte in un giorno e una notte. Il Gayatri chiamato ajapa è lo strumento della liberazione dello Yogi, per il solo desiderio di recitare questo (Gayatri) egli è liberato da ogni demerito. Una conoscenza al pari di questa, una ripetizione al pari di questa, una intuizione al pari di questa non è mai stata né sarà. La Gayatri è scaturita dalla Kundalini e sostiene il Prana. La conoscenza del Prana è la grande conoscenza. Chi sa che questo è un adepto.” (Goraksha Sataka)
Siedi con il corpo immobile e controlla il respiro,
Così, non patirai alcuna malattia. […]
La luce della luna è nei sedici canali [Ida],
E il Sole nei dodici canali [Pingala],
Il prana si congiunge nei mille canali [sahasra nari],
Dove Shiva dimora con innumerevoli Kala.
[…] Il sentiero dell’Ida si chiama Luna,
E il sentiero di Pingala, Sole .
Dicono che il sentiero della Susumna sia la [dea della] Parola,
La dimora delle tre radici. (Gorakh Bani)
La vita mortale, terrestre, è quella che cade sotto il dominio del Sole e del lato destro del corpo, e del lato sinistro degli emisferi cerebrali, il razionale. Questo lato – Pingala – associato al fiume Nero Yamuna, trasporta la morte, o il veleno. E’ la potenza che arde, prosciuga, spinge gli istinti, le pulsioni, brucia le forze vitali, uccide, distrugge, secca… Pingala è composto di dodici Kala, o parti, che sono le suddivisioni del tempo ordinario, il tempo terrestre, e allo spazio occupato dal prana nel suo passaggio dall’esterno all’interno e fuoriuscita, Dvadvasanta.
A sinistra scorre il Gange, ci dice la geografia sacra del corpo, è il canale associato alla Luna, al lato sinistro del corpo, e perciò al lato destro del cervello, creativo. E’ il lato di cui non siamo coscienti, scarsamente in controllo, da cui respiriamo meno aria, e che segue, o reagisce agli impulsi che provengono dall’altra parte. Essendo comunemente meno usato, è la sua elevazione (trascinare il basso Gange verso l’alto, dice Gorakh) a favorire quella inversione della tendenza mortale contro cui lotta lo yogi. La luna celeste che si eleva sulla volta cranica dello yogi immerso nell’Unmana è la vita che discende su tutti gli esseri, universalmente, che non incarna nessuno in particolare, ma nutre e controlla il cosmo intero, e tutti i flussi di prana e di fluidi che irrigano e vivificano il mondo come il corpo. Qui Shiva è Jaladhara, il signore delle acque o dei torrenti, chi ha conquistato questo stato dell’essere è Signore perciò della vita e del suo scorrere, Sua è l’immortalità, perché la luna decresce, svuotandosi, ma ricresce immediatamente riempiendosi di nuova vita. Questa è la visione di un processo di continuo rinnovamento a cui mira la meditazione sull’immortalità. Non è la conservazione di un corpo decadente per un tempo illimitato, ma come per le rare creature sottomarine che riescono a compiere questo “miracolo”, è la capacità di riformarsi un corpo giovane, fanciullo, che riprende a vivere, e ritornare perciò costantemente a ricostruirsi un corpo nuovo. Il canale lunare è costituito da 16 kala, o unità, che diventano 4 quando si parla di amrita (l’amrita è costituita da 4 unità o kala, come Brahman, o di 4 quarti come la luna). Rappresenta il ritmo che il respiro controllato mantiene 4×4, con cui si supera il tempo dei 12 kala che costituiscono la vita mortale, per affacciarsi a un tempo che diventa esponenzialmente prolungato, come il respiro.
Nel mezzo scorre un fiume invisibile, la Susumna, che è associato al fiume sotterraneo Saraswati. Saraswati è la conoscenza sacra, la musica, la sapienza, e, ci spiega questa allegoria, non è visibile. Questo corrisponde all’asse invisibile tracciato dal movimento della respirazione, la cui potenza è tale da trarre il corpo in posizione eretta. È l’Axis Mundi, l’asse invisibile attorno al quale si tiene il mondo, il corpo e la psiche.
Non è identico alla spina dorsale, piuttosto la dorsale è disposta in un continuo moto dinamico serpentino di aggiustamento attorno all’asse verticale descritto virtualmente dal Prana. E’ la curvatura, descritta dal moto ondulatorio del respiro, delle due funzioni Prana e Apana, che permette di individuare la postura verticale, è il principio del pendolo, fondato su un invisibile asse centrale immobile, attorno al quale si verifica il movimento regolare ed equilibrato dell’oscillazione.
Perciò quando Gorakh e la tradizione dello yoga dicono di unire Prana e Apana, ci invitano a individuare questa dimensione verticale invisibile che è determinata geometricamente dal movimento costante delle altre due.
La presenza di questo fiume invisibile è perciò una formula che deve essere “astratta”, non è accessibile alla visione empirica. E se i due canali laterali sono esperiti nella respirazione, come nel funzionamento del sistema nervoso, invece la Susumna va individuata, cioè va visualizzata e attivata mediante l’esercizio. Sebbene i due canali, virtualmente producano da sé la verticalizzazione, la sua presenza è inconsapevole per la percezione comune, perciò si dice, addormentata, non accessibile.
Potremmo tradurre i due canali come termini psicologici, maschile e femminile, come paterno e materno, e avremmo l’uomo comune dominato dalle pulsioni e dai complessi ereditati in linea famigliare, con i loro relativi equilibri instabili e disfunzionalità. Quindi si può dire che una vera nascita a se stessi, non come mero prodotto di carne e ereditarietà, cioè karma, avviene quando si individua il proprio sé, che in termini yogici è appunto quella propria postura, o inclinazione, in quell’asse, quella direzione che unifica gli altri due, li riassorbe in uno.
Al chakra della gola, i tre fiumi si uniscono e scambiano la loro direzione. Questo punto, da cui si accede alla Gantha, o Unmana, è detto il Triveni, che corrisponde nella geografia sacra dello yoga al luogo in cui, ogni 12 anni (kala) i devoti si immergono per essere lavati da ogni peccato, il luogo in cui fisicamente i tre fiumi indiani Gamnge Yamuna e Saraswati confluiscono, a Prayang (Allahabad). L’immersione in questo luogo di pellegrinaggio, dice Gorak, è solo acqua. Occorre che lo Yogi si immerga invece in questo Triveni, quello della coscienza, così che la Luce salga, dalla radice in cui è sepolta, al culmine della coscienza. Occorre che Sole e Luna siano uno di fronte all’altro, questo luogo è quello situato tra gli occhi, che sono Sole e Luna. E che da lì si osservi la Luce, Kashi: la città della luce, il luogo che si apre tra le sopracciglia. Quando quindi il sole illuminerà la luna, faccia a faccia, con gli occhi concentrati al centro, si percepirà la luce interna, la luce divina (Kashi) la luce dell’intelletto purificato, della pienezza…
Infine, i tre fiumi, nella rappresentazione interiore della tradizione yogica diventano il Trikuta, le tre vette, ovvero il triangolo, ai cui angoli sono le tre grandi Dee, che apre il passaggio attraverso il Brahmarandra.
“Dove la psicanalisi dice: fermatevi, ritrovate il vostro io, bisognerebbe dire: andiamo ancora più lontano, non abbiamo ancora trovato il nostro Corpo senza Organi, non abbiamo ancora disfatto abbastanza il nostro io. Sostituite l’anamnesi con l’oblio, l’interpretazione con la sperimentazione. Trovate il vostro corpo senz’organi, sappiatelo fare, è una questione di vita o di morte, di giovinezza e di vecchiaia, di tristezza e di allegria. Ed è qui che tutto si gioca ” (Gilles Deleuz, Felix Guattari, Mille piani).