Dea Madre. La potenza Creatrice.

Dea Madre. La potenza Creatrice.
Seminario “Dea Madre, la Potenza Creatrice. energia, Suono, Conoscenza, Mantra nella filosofia indiana e nello yoga”
Domenica 23 Marzo 2025, a Pesaro e su Zoom

Dea madre, parola madre. La potenza creatrice. Seminario 23 Marzo 2025 a Pesaro e su Zoom

La Dea come Potenza e Guarriera, il Mito.

Kali e Durga sono celebri per rappresentare l’aspetto feroce e guerriero della Madre divina. L’Archetipo che lega queste figure – con l’incarnato scuro, le sciabole, le armi da guerra, le teste mozzate e circondate da animali feroci – è una delle più profonde e diffuse immagini perenni che che si propagano dalla preistoria in tutte le culture umane, come un retroterra e una memoria comune. La tradizione indiana conserva per esse un contesto mitologico ben preciso, che giustifica e riconosce la connotazione guerriera dell’archetipo materno, ponendo l’apparire stesso della Dea immediatamente su un campo di battaglia.

Il contesto è una perenne sfida che i demoni dichiarano agli Dei e al Dharma, alla stessa legge cosmica, minacciando perciò di distruggere la nascente creazione della vita vivente del mondo, ricacciandola nell’oscurità indifferenziata. Gli Dei sono impotenti di fronte alla minaccia dei demoni, probabilmente incapaci di resistere alla tentazione di ritornare a uno stadio di manifestazione inferiore, brutale. Così, i tre grandi Dei superiori, il seme, Brahma, la continuità, Vishnu, la sublimazione e coscienza, Shiva, dovettero affrontare il pericolo che incombeva e perciò ricorsero a Lei, alla Madre di tutto. Insieme, di fronte al pericolo, richiamarono in sé la potenza yogica che li aveva manifestati, la potenza in Sé, quella che fino ad allora aveva avuto nomi vaghi e poetici, come Vak, Parola, quella che era all’origine, o soltanto Aditi, la Prima, la prima esistente.

Prima del momento della battaglia la Dea è nascosta nell’invisibile, inaccessibile gli dei stessi che, apprendiamo qui, sono sue creature, suoi figli, figli di mistero che rimane nascosto a loro stessi, ma che li ha generati, prima del tempo, con il potere che Le è proprio: la Parola. Dalla potenza dei tre grandi Dei superiori, unificata, essi proiettano il ricordo consapevole di Colei che li aveva generati e che li univa come una cosa sola, e che in loro persisteva come anima e coscienza, la divinità degli esseri divini stessi. Con questa meditazione, dal loro pensiero emanò Durga, l’Inaccessibile.

I deva videro una concentrazione di luce come una montagna che arde eccessivamente, pervadendo tutto con le sue fiamme. Poi quella luce unica, prodotta dai corpi di tutti i deva, che pervade i tre mondi con la sua luce, combinata in uno, divenne una forma femminile”.

Grazie a Lei, che si manifesta sul campo di battaglia come quintessenza degli Dei, il Dharma si salvò dal pericolo che già all’origine era presente, insieme alla creazione, poiché tutto ciò che è creato è mortale: la sua dispersione nell’oscurità della morte, precedente alla nascita, l’inconsapevolezza di essere, la nescienza. L’uscita dallo stato di nescienza, o ignoranza metafisica, è di fatto il tema del cammino spirituale indiano, la conquista della coscienza di sé.

Durga si presenta scintillante, di colore rosso, adorna di gioielli magnifici e dotata di dieci braccia, ciascuna armata di un’arma invincibile con cui sottomettere qualsiasi nemico. Indossa l’abito rosso della regalità, cavalca la belva più feroce, la tigre, sorride radiosa della vittoria che sta per compiersi sul nemico del mondo. Agli dei si palesa l’aspetto stesso della vittoria della vita e della coscienza sulle tenebre.

Chi è? “Lei è l’Eterna, incarnata come Universo. Da lei tutto l’universo è pervaso. Ciononostante lei si incarna in molteplici forme; ascoltami. Quando lei si manifesta per portare a termine gli scopi degli dei, si dice che lei sia nata nel mondo, sebbene sia eterna.”

Al termine della battaglia, gli dei tessevano le sue lodi e lei, che ne era estremamente compiaciuta, offrì loro di esaudire un desiderio. E gli dei risposero:

“E se un vantaggio ci sarà accordato da Te, Oh Mahesvari, ogni qualvolta noi pensiamo di nuovo a Te, distruggi le nostre calamità dirette.

e a qualsiasi mortale Ti loderà con questi inni, possa Tu, che sei divenuta benevola verso di noi, essere anche moglie, e le altre fortune insieme alla ricchezza, alla prosperità ed alla vita, Oh Ambika!” così recita il Devi Mahatmya, uno dei libri che narrano le gesta di Durga sul campo di battaglia. La Dea, dunque, dopo aver sconfitto il demone che minacciava la vita alla sua creazione, accettò di rimanere come guardiana del benessere del mondo, e di proteggere chiunque le avesse chiesto il suo soccorso. Ma, cosa più importante, concesse e promise, che sarebbe stata lei stessa, la Madre del Mondo, l’inaccessibile, a diventare la moglie e la ricchezza e la fortuna degli esseri viventi. Dunque, ogni donna, e ogni essere vivente di sesso femminile, in base a questa promessa, è la stessa Dea Durga incarnata, l’Eterna.

Dopo aver sconfitto il demone Mahishura, nel corso di una vivace battaglia, è La Dea stessa ad essere oggetto dell’attenzione dei demoni (come ogni cosa dotata di forma, si proietta nella dualità, e incontra il suo antagonista) di cui uno, Raktabija, che si fregia di essere il sovrano di tutti i demoni, aspira a sedurla, cerca di comprarla promettendole ricchezze e potere, e poi decide di prenderla con la forza, mandando il suo esercito a catturarla. A questo punto dalla fronte di Durga “con ciglia aggrottate”, fuoriesce Kali dall’espressione terribile, armata con una spada e un cappio. “Portava monili fatti di crani, al collo una ghirlanda di crani, vestiva una pelle di tigre, la sua carne era emaciata, con la bocca spalancata, la sua lingua protesa in fuori, profondi e affossati occhi rossi e le sue grida furiose riempivano il cielo; lanciandosi contro l’esercito dei demoni venuti per catturala ne fece scempio, e divorò i tutti demoni che aveva di fronte”. (Si potrebbe esaminare a lungo cosa rappresentino i demoni che desiderano rapire e violentare la Madre divina. La volontà di appropriazione, fisica, intellettuale, oggettiva. Lo spirito razionale, l’avidità umana, la violenza sulle creature, la natura, gli esseri, la riduzione di tutto a merce e proprietà. Possono essere alcune idee suggerite dal mito. Ma il mito deve restare tale, deve poter essere efficace sempre e in situazioni molto diverse. Il simbolo è la volontà demoniaca di catturare e sedurre la Madre divina, il femminile, con la forza. Ne è il paradigma, di ogni violenza.)

Kali viene costretta a bere il sangue dei suoi nemici, prosegue la leggenda, e dopo aver bevuto tutto il sangue dei nemici è ubriaca, ancora furiosa e indomabile. Confrontarsi con il male rende furiosi, simili al male che si è combattuto e vinto. Continuava a vagare distruggendo tutto quello che trovava sul suo cammino e il mondo doveva di nuovo temere la distruzione. Shiva decise di placarla e con umiltà e coraggio si distense davanti ai suoi piedi. Kali nella trance in cui si agitava finisce per calpestare l’amato Shiva e nel momento stesso in cui il suo piede si appoggia al petto di lui, la furia si ferma (Shiva è la pace). Kali si arresta, colpita dal suo stesso gesto, la lingua fuori dalla bocca, ancora in trance. Shiva è disteso sotto di lei, in qualche modo in contatto con la morte, e in quell’istante di pre-morte, potremmo dire, quando si trova sul limite tra la vita e la morte, sopraffatto da Kali, vede in Lei milioni di universi, le cinquanta lettere dell’alfabeto sanscrito (che rappresentano Śabda Brahaman, il suono primordiale) e l’essenza di tutti gli Śāstra dei Veda e degli Agama. Con suo grande stupore, il Signore Śiva vide che in Lei esistevano milioni di Brahmā, Vişņus e Śiva come Lui. In Lei vide l’universo infinito, quello in cui esistono infinite ripetizioni di ogni singola cosa.. nella ripetizione simultanea di tutto. Alla fine, è kali stessa a spiegare la visione di Shiva: “Non esiste alcuna forma di Brahman Supremo più grande di Kālī, poiché Kālī stessa è Parabrahman.”. Il Parabrahamn è l’assoluto, il senza forma, l’uno-tutto, senza secondo. Kali, la Nera, è appunto la forma simbolica dell’assoluto, che la coscienza comune percepisce frammentato nel tempo.

Questa storia può essere letta a più livelli, ma rappresenta in sostanza il Mistero stesso: Kali.

Shiva, che è l’asceta supremo, il padre spirituale degli esseri, si distende sotto i suoi piedi, affinché il tempo (la dimensione con cui Kali è percepita da tutti gli esseri) che tutto divora si fermi, o Kali sia placata. Può osservare così la perfetta simultaneità di tutti i mondi nell’eterno presente della divinità. Kali resta inaccessibile agli occhi dei mortali come degli dei, se non come il tempo che tutto divora, e solo il mistico (che è rappresentato da Shiva) riesce a trovare in sé la disposizione al distacco e il coraggio che gli permettono di arrivare a guardarla nel suo attimo eterno: ferma su di lui. L’ebrezza, le teste mozzate, l’ira, l’inavvicinabilità, il pericolo sono tutti segnali che non caratterizzano la Dea in Sè quanto la nostra esperienza possibile di Lei. Kali si situa al di là della mente ordinaria (per cui le teste mozzate), e diventa visibile dove siamo capaci di abbandonare l’io o diventare l’osservatore estatico di una realtà cosmica e atemporale che ci supera e ci sovrasta. Questa è la posizione del mistico, che realizza l’unione perfetta di Shiva e Shakti.

La Shakti come Energia, Suono, Conoscenza Suprema.

Quel primo e unico punto è uno stato immanifesto, in cui sono latenti fuoco e vibrazione, uniti in un abbraccio silenzioso, in cui non c’è uno e non c’è due. Questo è l’essere, prima di qualsiasi manifestazione o creazione. All’inizio era il Nulla, dicono i testi sacri. Questo è Parabrhaman, Essere puro, privo di attributi, di forma e di dualità. Semplicemente è, e nulla è al di fuori di lui.
Poiché esso esisteva, deteneva in sé, in quanto esistente, una energia, un potenziale, che nella parola Brahman è implicito: espandersi. Brahman è uno e immobile, solo e unico, prima della creazione, ma detiene in sé il potere di creare ogni cosa, di espandersi in infinito, Essendo l’unico e il solo, è già infinito, non potendoci essere altro a stabilire il suo limite: è potenziale espansione infinita. Questa potenza può espandersi, quindi vibra. Questa dynamis è inerente al Brahamn stesso, è il suo stato naturale. La vibrazione è per sua natura suono. Dunque Brahman “canta”, suona. E’ un suono ben preciso, unico, che sarà ascoltato vibrare in tutto: AUM. Nel momento in cui si coglie questa vibrazione si stabilisce un elemento di emissione. C’è un soggetto e c’è il suono che emette. Questa biunità divina, non potrà mai essere una vera e propria differenziazione. Il suono, la voce di un essere, non sono mai separati dall’essere stesso. Come la luce con il fuoco. L’emissione sonora è effettivamente emissione luminosa, perché implica l’attivarsi di una coscienza, dove coscienza è luce: la possibilità di distinguere un oggetto è la luce, poiché il suono può guidare, orientare, nominare, evocare, formare sentimenti, espressioni, forme primordiali di oggetti.

Afferma la Maitri upanishad: “Esistono due Brahman su cui meditare: Sabda Brahman (Suono) Asabda Brahman (senza suono). Il Brahman Senza suono è rivelato dal Sabda Brahman. Il Sabda è Om. Grazie all’Om il suono si spinge verso l’alto e si riassorbe nel non suono. Ecco l’immortalità, ecco l’unione suprema, ecco la beatitudine.”

All’interno di questa dinamica tra suono e senza suono, il tantrismo indiano andrà a identificare la divinità maschile con il Supremo, senza suono, a cui viene associato un intrinseco potere femminile -Shakti – del suono. La potenza intrinseca dell’essere, la Coscienza o Parola, diventa la Madre, la Dea, la Sapienza con la quale si realizza il Supremo. Questa potenza viene indicata, specie nella tradizione tantrica e dello yoga, come Shabda Brahman o Naad.

Nell’essere vivente, lo Shabda-Brahman ha la forma di Kundalini Shakti che è racchiusa nel corpo, nel Muladhara Cakra. In Kundalini si trova perciò il Parashabda, che è la potenza sonora divina, per sua natura ascendente, che va suscitata nel lavoro dello yoga.

Affermano le Upanishad dello yoga che non c’è mantra più alto del Naad, non c’è devozione o pratica più perfetta che la ricerca del Naad. La meditazione deve tendere a percepire il suono interiore, che in Muladara è racchiuso senza essere udito, così che risalendo si riveli attraverso l’ascesa di Kundalini.

“Il suono interno, è detto, assorbirà e annullerà tutti i suoni esterni e il suo ascolto si porterà a un livello sempre più sottile. Sarà dapprima come l’oceano, poi un tamburo, una cascata, un tamburello, un campanello, un flauto, un’arpa e poi un’ape. Si abbandonino pensieri e azioni e si mediti soltanto sul suono interiore, il Naad.
Tutte e azioni religiose trovano la loro tomba nel Naad del Pranava (OM), in cui si manifesta il Brahman, che è lo stesso Atman”. (Nadabindu Upanishad)

Esploreremo la profondità del Mistero della Madre e della Coscienza, attraverso un viaggio intuitivo e trasversale nelle scritture, nelle dottrine e nei miti, fino alle pratiche dello Yoga che hanno incorporato la potenzialità realizzativa del Suono e dell’Energia, nel seminario della prima domenica di Chaitra Navaratri, 23 Marzo 2025.

Il Seminario si svolgerà domenica 23 Marzo 2025 dalle ore 9 alle ore 18 circa a Pesaro, Centro Satsang, via Togliatti 20 e su Zoom.
Il costo dell’intera giornata è di 110 euro.

L’iscrizione all’intero Percorso di Formazione “Poesia, Magia e Sapienza nel mondo antico”, con acconto anticipato, dà diritto a uno sconto sul totale complessivo. Per maggiori informazioni utilizzare il form di contatto.

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